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giovedì 21 febbraio 2013

Elsa e Il Muto




Elsa ama starsene lì, a pochi centimetri dalla propria salvezza. Elsa si sente forte: chi prevede e giustifica la sua esistenza ha una voce baritonale e possenti spalle anti-pioggia. Anti-tutto, per essere precisi. 
Elsa ghigna; non sa trattenere la smorfia in gola. Se ben avvitata, può persino permettersi qualche sberleffo, da inviare non troppo regalmente all’interlocutore che, muto e disarmato, resta fermo di fronte al suo amico. L’unico, prepotente amico di Elsa. 
Elsa è piccola, sottile e fragile ma, immersa nel brodo del “Mo’ chiamo mio cuggino”, è certa di essere indistruttibile. 
Elsa ha grandi occhi. 
Ciechi.
Potrebbero vedere, ma preferiscono non farlo, perché sanno che Elsa è fatta così; che coltiva il proprio orto a rape, e guai a chi gliele tocca.
Elsa gongola quando, chi per lei, coglie in fallo - o è convinto di farlo - l’Interlocutore Muto.
Elsa ignora. 
Un sacco di cose. Inclusa l’ovvietà del fatto che un Manico, senza lama, valga assai poco. E pure che lei stessa, in un istante di distrazione di massa, potrebbe finire nelle mani sbagliate. Magari quelle di un Interlocutore, rimasto potenzialmente tale e Muto, sino a un secondo prima; quando, più o meno casualmente, si è accorto di avere tra le dita un’intera spada.

martedì 12 febbraio 2013

Too cool




Temo di essere un tantino snob. Probabilmente anche la saccenteria non mi fa difetto. Lo ammetto a priori; così, se dovessi inciampare, sul selciato finirebbero i palmi delle mani, piuttosto che il lungo mento che mi ritrovo. Perché sospetto di avere il tipico naso all’insù di chi schiva nauseabondi afrori? Mi succede, sempre più spesso, di provare una vischiosa sensazione di disagio: la vergogna. 
Per gli altri. Quegli altri che, evidentemente, sono sguarniti della ghiandola che la secerne.
Avete presente, giusto? È quel magma ardente e bituminoso che sembra squagliare ogni cellula del corpo in un brodo denso, ove galleggiano infiniti Oh, my god! - ché stranirsi in inglese è tutta un’altra musica - cui appigliarsi, disperatamente, tra marosi superlativi. Ci avete fatto caso? Ogni “issimo”, nella bocca di alcuni stolti, si fa chicco di riso, assai poco raffinato e moltiplicato all’ennesima potenza, vettore di una sequela di aggettivi martoriati. La tardona seminuda e stivalata in una discoteca di sedicenni non è goffa e fuori tempo massimo, ma “sexissima”. Il collega tonto e ciarliero non è tale, ma “divertentissimo”. La tizia che sfoggia un lessico da portuale iracondo, non è volgare, ma “scafatissima”. 
Le stesse labbra, solitamente, dopo aver pronunciato l’insopprimibile battuta del secolo, modulano una risata sguaiata tutta gola e denti - inversamente proporzionale al livello della gag - impermeabile ad altrui mascelle serrate, bulbi oculari estrusi, sobri rossori di gote.
Perciò facciamocene una ragione: siccome, per noi snob fanatici della forma, tentare di spiegare il profondo significato del termine “opportuno” a un fichissimo sarebbe utile quanto un loden addosso a un cinghiale, non ci resta che perpetuare in sordina, le dita tra i capelli, la vergogna per conto terzi. Che, tra l’altro, è cool da matti. Anzi, coolissima.