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giovedì 16 maggio 2013

Tette e Blub




Novantasette! Ma no, era ottantasette! Macché, novantadue! O forse Ottantadue? No, aspetta, quello era l’anno dei mondiali di Tardelli, Cabrini e Scirea; forse il novantaquattro! 
Non è una canzonetta sui numeri da giocare al Lotto, ma il fiorire di percentuali relative alla possibile incidenza cancerogena sulle tette di Angelina Jolie. Sui social network la discussione imperversa: è giusto, è sbagliato, è una santa, ha esagerato, è una buona madre, è un’ipocondriaca... Se ne parla perché la maggior parte dei quotidiani ha piazzato la notizia in prima pagina: l’attrice, di fronte a un rischio provato di ereditare dalla madre un tumore mortale al seno, ha optato per una mastectomia totale. 
Su, ripetete con me: tette-prima pagina-attrice (be’, vabbe’, facciamo finta)-cancro. 
E che sarà mai?! Non se l’era già rifatta una volta, la carrozzeria? Le basterà tornare all’officina, schiudere il bolso portafogli e rimpolpare il povero petto azzerato e perfettamente ricamato con adeguate protesi, no? Insomma: fare quello che ad altre centinaia di donne è negato dalle contingenze.

La crisi economica sta sfondando la suola del vecchio e già logoro stivale; il suicidio degli imprenditori del Fu Ricco Nordest, per il numero di adesioni, potrebbe entrare nel novero delle discipline olimpiche; si ciancia di riforme del mercato del lavoro in totale assenza di materia prima, con buona pace dei sindacalisti incazzati e per la gioia inerte di quelli lassisti; la deceduta sinistra va a braccetto con una destra becera, affarista e manigolda; alcune cariche dello stato protestano in piazza contro altre cariche dello stato; e il solito anziano e bavoso satiro continua a farne una più di Bertoldo, tanto chi lo ammazza?!
Chiedo venia, ma viviamo in un paese di decerebrati. Io posso pure imparare a farci il bagno, nella merda. Ormai lo stile libero, il dorso, il delfino e la rana mi vengono una bellezza. Ho ancora qualche problema a nuotare a farfalla, ché il liquido è vischioso e mi toglie la polverina dalle ali, ma con il fiato residuo mi piacerebbe espellere l’ultimo commento acido, se permettete: delle tette della Jolie, dei suoi millemila figli, di quel bel tomo da profumieri che ha per marito, delle dolenti note familiari di ricchi divi patinati, a me, non frega proprio un accidente. 

Ecco, adesso posso finalmente sprofondare.
Blub.

mercoledì 1 maggio 2013

Primo Maggio




È il primo maggio, festa dei lavoratori.
Un cameraman del tiggì regionale punta l’obiettivo contro lo specchio della porta a vetro; quella si apre, ché la fotocellula, da brava, obbedisce. L’operatore entra. Chiede al direttore di poter girare qualche immagine all’interno del centro commerciale. Qualche telefonata, una breve riflessione, e la telecamera può ficcare il naso tra gli scaffali.
È il primo maggio, festa dei lavoratori.
Da oggi indossiamo la divisa estiva; jeans e polo rossa, con il solito monito ricamato in blu, che invita il cliente a farsi servire e riverire come e per quanto tempo crede. L’occhio meccanico si posa furtivo su qualche volto, sulle mani operose dei colleghi stanchi, sulle mille carte che svolazzano inesorabilmente sui tappeti mobili delle casse.
È il primo maggio, festa dei lavoratori.
1) Un telo da spiaggia con l’effigie della bandiera americana. 
2) Uno scolapiatti, una presina, un guanto da forno.
3) Tre maxi-cuscini da divano color arancione.
4) Un telefono cellulare da quaranta euro.
5) Un telefono cellulare da sessanta euro.
6) Un materasso auto-gonfiabile.
7) Un completo da letto, un ferro da stiro.
8) Un set di copri-sedia, una presina di silicone.
9) Un dispenser per il sapone liquido e due bicchieri porta-spazzolini.
10) Due scatole porta-cianfrusaglie di plastica.
11) Una tovaglia, un grembiule da cucina, un diffusore di fragranze.
12) Un accappatoio, un set di asciugamani lilla.

È il primo maggio, festa dei lavoratori; e alla sporca dozzina, si aggiungono i vincitori assoluti: gli acquirenti di, rispettivamente, un set di sei grucce di plastica rossa e una cornice di finto-legno di quindici centimetri per diciotto. 
Non potevano vivere senza quegli oggetti. Neppure per un giorno. Ché le scuole sono chiuse e loro, al lavoro, mica ci sono andati! “Dove li trasciniamo, maledizione, ‘sti figli?! Al parco, con questo tempo incerto? Alla sagra della zucchina, che poi magari ce li rapiscono e ce li farciscono con il gorgonzola?”. Come dar loro torto, in effetti...

È il primo maggio, festa dei lavoratori.
Noi non siamo numeri. Tali, siete stati voi. Voi clienti, infastiditi perché gli altri centri commerciali della zona erano chiusi - ‘sti stronzi! - il giorno della festa dei lavoratori.
E ho sorriso, e ho detto buongiorno e ho invitato a fare una copia dello scontrino, per cristallizzare garanzie volatili.
Appuntata sulla polo, però, avevo una spilla, che recitava “Chiedimi se sono felce”. Avete letto bene: FELCE, non felice. L’opera ingegnosa e buffa di Elisa Sartori, una giovane artista cresciuta nel bosco curioso dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, proprio come me.
Ed è stato uno spasso rispondere “NO” ai clienti che ci sono cascati. Uscivano certi che io fossi triste, non che affermassi la mia appartenenza al genere umano.
È il primo maggio, festa dei lavoratori. E delle non-felci in incognito.

Lo ha detto anche il tiggì, che oggi è il primo maggio, festa dei lavoratori; anche se noi non ce ne siamo quasi accorti.