non leggere









giovedì 26 febbraio 2015

Grazie.



Dovrei pulire. Togliere il cuscino, la coperta, il panno bianco. Dovrei anche cambiarmi e mettere la maglia e i pantaloni nel cesto della biancheria sporca. Dovrei far sparire i biscotti al ripieno di carne e gli snack anti-tartaro. Dovrei ragionare e capire dove mettere la cuccia, gli asciugamani che usavamo solo per lei, il libretto sanitario, il collare con il nome. 
Perché non servono più.
Invece me ne sto qui. Puzzo di urina e di tutte le situazioni in cui sono stata manchevole.
Resto ferma ancora un po'. Non perché mi piaccia sguazzare in un assai poco dignitoso brodo dolente, né per espiare alcunché; e 'fanpiffero a tutti gli "escusatio non petita..." già in resta. Resto perché ho uno strofinaccio grezzo attorcigliato nello stomaco. Ne sento peso e consistenza, quasi potessi afferrarlo, con le dita piantate sotto le coste. 
E perché mi aveva scelto. Mi era saltata in braccio, con la lingua penzoloni e gli orecchi scomposti dalla corsa. Era la più magra del canile. Ma aveva una voglia di stare al mondo come non ne avevo mai viste.
Mi saltò in braccio, dieci anni fa. E ora è morbidezza nella terra soffice.
Russava come una segheria, di notte. Faceva la faccia da cane magro che più magro non si può, davanti a una coscia di pollo destinata a umano piatto. E, finché le zampe hanno retto, correva come una saetta. Veloce, elegante, sottile.
Qui dentro c'è un silenzio troppo gonfio, ed è anche per questo, che resto. Topodimamma, cui dovrò infinite e perigliose spiegazioni, è all'asilo. Il consorte al lavoro, ma per fortuna abbiamo parlato. Al telefono. Ché in momenti così lui c'è anche quando non c'è.
C'è silenzio, e non solo. Un vuoto simile solo a se stesso. Una voragine d'assenza, scandita dai secondi dell'orologio, che mi pare di udire per la prima volta.

L'ho avvolta in una federa ampia e bianca, di un bel cotone solido. Quelle federe di una volta, non la merda che si trova oggi in giro. L'ho adagiata nella buca, piano, con garbo. Piangendoci sopra.
Aveva ancora la testolina morbida, sotto la stoffa.
Le sono rimasti gli occhi semiaperti. O semichiusi. Sul chi va là, ché magari vale la pena rimanere vigili, non si sa mai: le avventure nascono spesso per caso, e non vanno perse.
Con le mani ho raccolto una terra densa e profumata, piena di sassi, piccole conchiglie, frammenti di vetro smussati dai secoli. E poco per volta la federa non c'era più.
Le mani, poi la pala. Poi sono ricomparsi i ciuffi d'erba, rimossi nottetempo scavando.
E poi basta.

Mi sento orfana di Zena. Il cane "vivente". Il perfetto "cane a forma di cane". La cagna. La cana. 
E di quando il Topo, ancora a caccia delle prime parole, agitava le manine, rideva e la chiamava "Bù!"


Oggi devo preparare un dolce, ché il Topo, sabato, fa la festa di compleanno con gli amici. Lo farò stasera. 
C'è ancora tempo.


giovedì 19 febbraio 2015

Da sei anni, Sei.




Oggi il Topodimamma compie sei anni. 
Sei. 
Devo ripeterlo, perché suona strano. Appena nato, a suo padre stava in una mano. Ora è alto più di un metro e venti e pesa ventidue chili. Un gigante. Che ride, chiacchiera tutto il giorno (e pure la notte, se i sogni meritano una narrazione) e fa i capricci, ma con una voce meno sottile di ieri. Al supermercato tocca allestire una sporta speciale, ingombrante e leggera, cosicché possa eroicamente dimostrare al mondo quanto sia cresciuto. La regge con tutta la mano, fiero di essere applaudito dal fruttivendolo, dalla fioraia, dalle cassiere della Coop, che gli strizzano l'occhio, gli allungano una caramella, gli accarezzano il capo, mentre ripetono: "Ti xe el putèo più bravo dell'ìsoea!"
Colleziona rane gommose e ne trascrive i nomi sull'apposito foglio, dopo aver letto con pazienza quanto saltino, quanto mangino, quali armi segrete nascondano quelle vere, ritratte nel librino allegato al feticcio.
Comprende e rielabora, da par suo, le Favole al telefono di Rodari. Ne leggiamo una ogni sera, a letto, prima di dormire.
È vivo. Sta bene. Cresce. Da sei anni.
Sei.
Non sottolineerò che "sembra ieri"; ché la banalità travolge la verità assoluta delle frasi lapalissiane. Però è così.
Quando mi fermo, e lo guardo di sguincio mentre canta, o guarda la tv, o costruisce una barca di cartone per il suo nuovo amico millepiedi, mi riprendo il tempo sottratto dalle incombenze. Lo sbircio e non mi capacito dell'enorme fortuna mi sia capitata in sorte. E chi se ne frega della lotteria.
Oh Topo! Sei vivo. E stai bene, per fortuna.
Da sei anni,
Sei.