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mercoledì 8 agosto 2012

Dopocena




D’estate si usava l’Autan, non ancora in versione a spruzzo, senza alcol, per pelli sensibili o al gelsomino. Era un cilindretto pesante, con la rotella sul fondo che permetteva a un monoblocco giallo dall’odore inconfondibile di fare capolino ed entrare in azione. Ad applicazione effettuata, la pelle - nessun centimetro escluso - rimaneva unta e lucente per ore. Ma funzionava! ché le zanzare erano solo zanzare, mica tigri, leopardi o coccodrilli. 
Il fresco della sera, l’inebriante aroma delle costine alla Festa dell’Unità, la partitella scapoli-ammogliati di papà a sole tramontato, il gelato dopo una giornata di mare, si potevano godere senza incappare in coatte donazioni di sangue ai soliti elicotteri ronzanti.
Quando i miei esaurivano le ferie, trascorrevo un paio di settimane in trasferta. Mi piaceva stare a casa della nonna. Potevo pattinare con i calzini sul marmo scuro della sala da pranzo, giocare con centinaia di elastici raccolti in un cassetto dedicato, colorare con i pennarelli a pancia in giù sul parquet, contare le piastrelle rosa del bagno, ascoltare Superclassifica Show con mia zia, mentre la testa stroboscopica di quel tizio con cuffie e occhiali si agitava davanti al microfono.
Dopo cena nonna usciva sul balcone, pronta al rito serale; io, paperella implume, la seguivo con un entusiasmo e una fiducia assoluti, roba da fare invidia a Konrad. Lei passava le mani sulle foglie nuove di prezzemolo, menta e basilico, controllava il vigore dei garofani, ammucchiava in un angolo i petali dei gerani - ché bisogna stare attenti, sai: macchiano! - per poi allungare la mano fino alla parete tra le due porte-finestre, a caccia del trono. Con delicatezza, trascinava la poltrona pieghevole al centro del terrazzino. Dieci centimetri dal muro, altrettanti dalla ringhiera grigia. Infine, la magia: ben comoda sulla sedia imbottita, aperta e funzionale, nonna appoggiava i palmi delle mani sui braccioli di plastica e rat-ta-ta-tà!, li faceva scorrere lungo il binario dentellato fino a raggiungere la posizione ideale, con lo schienale reclinato e il poggia-gambe sollevato da terra di quasi mezzo metro. Mi prendeva in braccio e il mio naso andava in festa. Gli odori piantati nei vasi, il gelsomino rampicante, le rose e i peperoncini di nonno Gianni, il glicine dell’appartamento accanto, mischiavano la propria scia con il talco Felce Azzurra nevicato con grazia sul collo della nonna e, a me, pareva di stare in paradiso. 
Era l’ora della calma, dell’ozio saggio, del respiro profondo in un tripudio di profumi. Abbandonata sul grembiule a fiori di nonna, chiudevo gli occhi e ascoltavo le cicale. Nulla avrebbe potuto disturbare quella quiete. 
In ogni lieve brezza gonfia di silenzio, persino l’Autan, ancora aggrappato ai peli delle braccia e a quelli delle nari, sembrava avere il suo perché.

2 commenti:

  1. Che bel ricordo di bambina. Mi ha fatto venire la pelle d'oca!

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  2. Ah, cosa saremmo senza i ricordi! Ah, come saremmo poveri senza chi ce li sa raccontare!

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