non leggere









mercoledì 5 dicembre 2012

Dear Babbo, We have Quellarobalì




Caro Babbo Natale, 
quest’anno la letterina te la scrivo per punti, così magari è più semplice da leggere e trasformare in magia. 
Lavoro al centro commerciale. E no, non cominciamo: non sono una cassiera. La faccio. Produco scontrini insieme alle altre donzelle con la camicia bianca e il muso lungo. Ebbene, We have a dream, dear Babbo, che cercherò di descrivere qui di seguito.
Visto che l’anno scorso non c’è stato verso, questo Natale, se puoi, donaci un cliente che:

1. 
non raggiunga la cassa con l’orecchio fuso al cellulare, impegnato in una conversazione talmente fitta da non riuscire a spiccicare neppure uno striminzito “buongiorno”, mentre noi gli si fa il conto, gli si riempiono le sporte di ammennicoli dorati e lo si manda - sommessamente e sorridendo - al diavolo.

2. 
non chieda, per tutte le stelle del firmamento!, di provare le lucine per l’albero; perché il banco-prova è accanto alla porta d’uscita e una stramaledetta presa di corrente, alla cassa, non c’è. O non si può usare, ché la Grande Distribuzione ci guarda.

3. 
non abbandoni sul tapis-roulant, stizzito, una quintalata di asciugamani rossi da bidet, tutti renne ricamate a punto croce, unicamente perché ci siamo permesse di spiegargli che le sporte le abbiamo solo di carta e costano, rispettivamente, quindici centesimi la piccola, venti la grande.

4. 
non pretenda di entrare dall’uscita perché “ma mi serve solo un set di bicchieri, quello che è lì”, o “ma io sono anziano!”, o “mica devo comprare un elettrodomestico”, o “Ma neanche a Natale, che si è tutti più buoni?”, o “E devo fare tutto il giro?!”. Perché sì, devono farsi tutto il giro. È il primo comandamento di ogni centro commerciale. Anche a Natale. E loro lo sanno. Quindi se lo facessero, il giro. Se non qui, in Lapponia. 

5. 
non faccia il solidale mentre, la domenica del ventitré dicembre, intasa la coda delle cinque con un separa-uova nel carrello - strenna al fotofinish per la zia Norma - dichiarando che “è una vergogna che vi facciano lavorare anche domani”. Tanto glielo si legge in faccia: fosse per lui, trascorrerebbe il pranzo di Natale abbarbicato allo scaffale dei cucchiai, aspettando che qualcuno gli chieda “In cosa posso esserle utile, signore?”, già pronto a gracchiare un sonoro “A-haaammm!”

6. 
non ci chieda consiglio sul colore del mobiletto per il bagno, né sulla panca porta-oggetti con l’effigie degli elfi. Abbia il coraggio delle proprie azioni e se la veda da solo, con la moglie-mastino che lo attende a casa, al varco. Ché noi, il dito, lo mettiamo solo sul touch-screen.

7. 
non chieda se possiamo fargli un pacchetto: non lo facciamo. Ci manca solo quello! E niente perché e percome: dopo nove ore di bip-bip, potremmo anche evitare ogni censura e chiarire, una volta per tutte, che è il sette dicembre e, fino al ventiquattro, ha tutto il tempo di trovare una stronza cartoleria aperta.

8. 
non abbia infiniti natali da raccontare e la lingua sciolta. Ci piace sguazzare nell’ignoranza, specie quando dietro di lui ci sono altre ottantadue persone in fila, capaci di una potenza sbuffatoria pari a quella di tutti i treni a vapore di Ivano Fossati.

9. 
non pretenda, soprattutto un minuto dopo l’apertura, di pagare un addobbo pralinato da novantanove centesimi con una banconota da cinquecento euro. Non siamo gnomi dell’arcobaleno. Non abbiamo trascorso la notte a trasportare carriole di monetume, dalla banca ai nostri cassetti, per soddisfare pazzoidi con un deposito vuoto e un costume da Paperon De’ Paperoni nell’armadio.

10. 
non ci faccia gli auguri di buone feste. Non ci venga proprio, qui, dal quindici del mese all’otto gennaio. Se non può farne a meno, ci pensi intensamente la notte dell’Avvento, mentre trangugia un frizzantino e affonda le fauci nel panettone. E si senta un autentico genio, d’una furbizia da sfoggiare al cenone, per aver snobbato il centro commerciale. Mica è un’abilità comune, in effetti, evitare di rompere le palle a chi lavora. Figuriamoci quelle di Natale.



Tanto lo so: come minimo Babbo non parla inglese, quindi non ha idea di cosa significhi che We have a dream.


4 commenti:

  1. Ale, già scrivi da dio, ora detti anche il decalogo? E poi il Babbo Santo è anziano come me, e noi a scuola si studiava la langue francaise. I have a dream, me too: le cassiere che fanno e non sono cassiere trovino occupazione più acconcia. Con tutto il rispetto delle cassiere vere. :)

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  2. Fantastico post. L'iper un po' meno...
    Ci scapperebbe un libro con tutte le vicende che ti son capitate ;-)

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  3. Marì, sono alla frutta, altro che balls. Proverò a tradurre in francese! (pure io lo studiai, ma temo di aver rimosso cediglie e compagnie bofonchianti)... :*
    Bhà, benvenuto! Grazie per il commento e pure per il giretto che ti sei fatto all'interno del blog. Credo che qualcuno abbia già scritto un libro di quel tipo, ma non si sa mai... potrei cedere alla tentazione! :)

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