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giovedì 24 maggio 2012

Essere. O non essere.




Ero al liceo e, nella mia stanza, ogni superficie verticale era ancora soffocata da un’orrenda carta da parati rosa antico. Ci ho dipinto sopra, ci ho sbattuto contro una quantità improbabile di poster di calciatori e musicisti, ci ho scritto. Oh, grana e grammatura erano perfette, per la collezione di Tratto Pen che avevo nel cassetto! Moniti di poeti, testi di canzoni, appunti per non scordare un pensiero in volo radente. 
Mi perseguitava una parola. Scrissi anche quella, inclusa tutta la sbobba che recitava il dizionario, perché non riuscivo a impararne il significato. 

Ontologia: dal greco òn, il cui genitivo è òntos, participio presente di êinai (essere); insieme a logia, che sta per lògos (discorso, dottrina). Scienza dell’essere, dottrina sull’essere in quanto tale, nonché relativa alle sue categorie fondamentali.

Bene. E che diamine è un ente? Sì, bravi, l’INPS... non parlo di quel genere di ente, ma di "ciò che è qualcosa di esistente o di possibile (in opposizione a ciò che non è)". L’insieme degli enti costituisce l’essenza (scoperta, l’acqua calda?) che, secondo Aristotele, significa "ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un'altra cosa" e sta quindi a indicare quelle determinazioni di un ‘oggetto’, specificate nella sua definizione, che ne costituiscono e determinano la natura.
Tutto chiaro, fin qui?

Io sono
Io sono e, in quanto esistente, potrei ritrovare il mio nome in lunghissime liste di caratteristiche, ascrivibili a decine di categorie diverse.
Ontologicamente parlando, perciò, quando mi definite “cassiera” non siete in errore. Ma è terribilmente divertente vedere le facce che fate quando mi ritrovate al reparto, a sistemare guanciali di fibra d’aloe o aromatizzati alla lavanda. Ed è addirittura esilarante immaginare quali espressioni vi calerebbero sulla fronte, come sipari mortiferi, se sapeste come mi riesce bene la torta al cioccolato, quanti libri lisi e pieni d’orecchie giacciano sulle mie mensole, come mi doni un seghetto alternativo tra le mani, quanti nomi io sappia trovare per definire i sogni belli che aleggeranno, durante la notte, sulla testa di mio figlio.

Ah, dimenticavo! Evitate di filosofeggiare troppo, in uno qualsiasi dei nostri bar. Qui, se l’oste è onto, non c'è Aristotele che tenga: vuol dire che non si lava. Ergo, cambiate bettola, finché siete in tempo.

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