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domenica 20 maggio 2012

Tellurica



C’è un motivo per cui, nei momenti in cui mi pigliava la “scipitella”, mia madre mi dava della “scema di guerra, anzi, di terremoto!”. Sono nata nel Settantasei, pochi giorni prima del sisma per eccellenza; e il Friuli, da qui, è distante uno sputo. La terra che sussulta è un’epifania sublime: intimorisce, certo, come tutte le cose che sfuggono al controllo; ma è affascinante, potente, maestosa, nella sua travolgente indipendenza.
È strano. Per spirito di contraddizione, ho sempre opposto al terrore dei miei una certa divertita noncuranza, quanto a eventuali mondani borborigmi: «Eh, l’infarto! Ma su, basta co’sto teatro!» mi affrettavo a ripetere, ridacchiando e voltando le spalle.

Stanotte, alle quattro e tre minuti, ho smesso di fare la spiritosa.

Quella crepa lungo la parete mi pare più larga.
Questa è una casa vecchia, che poggia le fondamenta sulle “brìcole”. Una palafitta che trasuda sale. Una zattera in ammollo nella laguna. Il pavimento è sbilenco e l’anta dell’armadio Ikea sporge più del solito... 
Abbiamo stipato troppa roba, in cima al soppalco che incombe sul lettino del piccolo. E se - magari alle due, o alle tre del mattino - una scossa forte facesse venire giù tutto?
Alle tre e diciotto di oggi pomeriggio il letto ha tremato ancora.

Fuori, nel cielo bigio e carico di pioggia, il solito fiero merlo maschio, geometra nero e leggiadro, disegna spirali auree.
Poi si posa a terra. Scompare per metà nell’erba nuova. Becca e becca e becca. Mi avvicino. 
Sta dilaniando una lucertola.

Neppure fossimo in tempo di guerra.

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