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giovedì 19 gennaio 2012

Tempismo



Aborrisco l’attimino. E il momentino? Lezioso e felino, adotta il solito trucco: fa le fusa; scioglie l’attacco sferzante del primo in una morbida consonante occlusiva, nasale, bilabiale di tutto rispetto, e Plaf!, senza che ve ne accorgiate, in un istante scatta la trappola della riduzione estrema. Il minutino - declassato pure lui da Standard & Poor’s? - aspira alla desinenza in “olo” giacché, segretamente, brama vestire i panni dell’ottavo nano di Biancaneve. Minutolo, quello che cronometra il tempo impiegato dalla squadra per coprire il percorso da A-casa a B-miniera, cantando “Andiam, andiam, andiam a lavorar”. Con il secondino, poi, si sfonda una porta aperta. Oddio, aperta mica tanto, in effetti! Quando egli si aggira dinanzi a un uscio esso giace, solitamente, ben serrato per antonomasia. O no?! (chiedo venia immantinente per la svista, onde evitare che il Sindacato degli Agenti Zelanti si metta sul piede di guerra).
Fatevene una ragione: l’attimino, il momentino, il minutino e il secondino (quello senza divisa, per intenderci) non-e-si-sto-no. Sono un parto (settimino?) della vostra indomabile accidia. Annoiati spacciatori di lettere, biechi frequentatori di Hello Kitty o della posta del cuore di Cioè, secondo voi, esiste davvero qualcosa di più rapido di un attimo? Di un momento? Per il minuto minuto, non vi avanza un secondo? (chiedetelo in prestito all’orologio da polso. Mi dicono essere un tipo generoso). E per il secondo, eventualmente, attenetevi alle opportune frazioni, o ai nani di cui sopra, accidenti!
Per farla breve (so che vi piace): la lingua italiana è complessa, d’accordo. Dovete usarla per chiedere un chilo di pane a chi di dovere, per sapere quando passa il 14, per evitare i cavolfiori a cena? Masticatela pure. Ma mica siete obbligati a improvvisarvi scrittori, per Diana! Lasciatela a riposo, la penna.
Per un attimo.
Un momento.
Un minuto.
Un secondo.
Un... ecco, meglio il silenzio.


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